Das Rechtsinstitut des geschlossenen Hofes hat im deutschen Recht seinen Ursprung und kommt in Tirol erstmals im VI Jahrhundert vor.
Heute gilt der geschlossene Hof, welcher erstmals 1926 in der „Tiroler Landesordnung“ schriftlich definiert wurde, vor allem in Südtirol als bewährtes Modell, wobei es vorwiegend darum geht, die Zerstückelung des bäuerlichen Eigentums zu verhindern.
Dasselbe Ziel verfolgt auch der nationale Gesetzgeber mit den Bestimmungen zum landwirtschaftlichen Vorkaufsrecht, welches für Pächter landwirtschaftlicher Grundstücke einerseits, sowie für angrenzende selbstbebauende Landwirte andererseits vorgesehen ist.
Lehre und Rechtsprechung haben sich mit beiden Themen auseinandergesetzt und sich darüber hinaus mit der Frage beschäftigt, wie die Bestimmungen zum geschlossenen Hof auf Landesebene einerseits mit den nationalen Bestimmungen zum landwirtschaftlichen Vorkaufsrecht andererseits vereinbar sind.
Der italienische Artikel in voller Länge:
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INTERVENTO DELL’ AVV. SILVIA PALER
Consigliere Ordine Avvocati Bolzano
Con il concetto di “maso chiuso” o “Geschlossener Hof” s’intende l’istituto giuridico altoatesino per cui una proprietà immobiliare, alla morte del proprietario, non viene suddivisa fra i coeredi, ma vie- ne intestata ad una sola persona, il c.d. assuntore del maso.
L’istituto deriva originariamente dal diritto barbarico ed è stato introdotto in Tirolo per la prima volta nel VI secolo. Il termine deriva dall’espressione “Hof” che indicava genericamente il podere, mentre chiuso doveva verosimilmente contraddistinguere il concetto d’indivisibilità. Sotto questo aspetto, il sistema ereditario germanico si differenziava in particolar modo da quello romano: pre- vedeva la prevalenza della conservazione dell’integrità del podere e della sua capacità di produrre un reddito idoneo a mantenere un nucleo familiare sul diritto successorio degli eredi.
La regola germanica è stata applicata in vario modo nei paesi nordici fino alle Alpi. In Tirolo ha trovato la sua applicazione più stabile e tipica: l’istituto del maso chiuso, così chiamato già dal 1795 e per lunghi secoli regolato dalla sola consuetudine, è stato ufficializzato per la prima volta nel 1926 dalla “Tiroler Landesordnung” per rimanere in vigore – nei territori trasferiti all’Italia – fino al 1929. Con l’estensione della legislazione del Regno d’Italia alle c.d. “nuove provincie” l’istituto del maso chiuso sparì dal codice, ma ha ciononostante continuato ad essere applicato, prevalendo nella popolazione la consapevolezza della legittimità sostanziale delle regole tradizionali anche se non codificate. La disciplina è stata poi reintrodotta nel 1948, laddove l’art. 11 dello Statuto dell’Autonomia stabiliva la competenza primaria della Provincia di Bolzano in materia di “ordinamento delle minime unità culturali, ordinamento dei masi chiusi e comunità familiari rette da antichi statuti o consuetudini.”
Dopo lunghe ed aspre trattative iniziate nel 1952 è stata approvata la legge n. 1 del 29 marzo 1954, sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale soprattutto per la disparità di trattamento tra coeredi di pari grado, alla quale susseguivano una serie di interventi correttivi ed integrativi, sfociati a loro volta nell’emanazione del T.U. n. 32/1978. Dopo l’intervento della legge n. 10/1982 sul ”Erbhof”, è stata infine approvata la L.P. n. 17/2001 tutt’oggi in vigore.
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Con riferimento ai diritti di prelazione nel contesto delle norme sul maso chiuso bisogna osservare innanzitutto come l’attuale legge escluda il diritto di prelazione per il confinante di un maso, mentre tale diritto viene riconosciuto all’affittuario coltivatore diretto nel caso di alienazione del maso a soggetti diversi dal coniuge o da parenti entro il quarto grado. In particolare, il diritto di prelazione spetta anche quando l’affittuario ha in affitto solo una parte dei fondi; nel caso di più aventi diritto, la preferenza spetta a chi ha in affitto la sede o la maggior parte degli stabili del maso, e successiva- mente, agli affittuari che dimostrino di possedere i migliori requisiti per garantire la conduzione e la coltivazione diretta e la futura sussistenza del maso (non più – com’era nella disciplina previgente – all’affittuario con la maggiore estensione dei fondi coltivati). È previsto un diritto di prelazione a favore dei familiari entro il secondo grado di parentela che collaborano nel maso e vivono nel medesimo in caso di alienazione dello stesso o di parte di esso a persone imparentate oltre il secondo grado.
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Viceversa, al proprietario di un maso, coltivatore diretto, spetta il diritto di prelazione sui terreni agricoli confinanti sulla base della legge sulla prelazione agraria n. 817/1971.
Tale ultimo principio non è – fra l’altro – sempre stato così pacifico. Alcune sentenze del Tribunale di Bolzano (poi riformate in sede di appello con la sentenza della Corte d’Appello di Trento – Bolzano del 26 maggio 2003, in dir. e giur. agr. 2004, 185) affermavano infatti che il maso chiuso avrebbe già una dimensione ideale che non necessita di un aumento in forza del diritto di prelazione riconosciuto in capo al suo proprietario.
Al contrario si era sostenuto che la prelazione doveva applicarsi senz’altro, considerando che la legge provinciale stabilisce un limite molto ampio alle dimensioni ottimali di un maso, pari ad una consistenza di terreni idonea a dare reddito ad un nucleo familiare di almeno quattro persone. L’unico limite all’ampliamento del maso attraverso l’esercizio della prelazione è quindi costituito dalla necessaria autorizzazione da parte della Commissione Masi Chiusi territorialmente competente, titolare del potere di accertamento sulla redditività ideale raggiunta. Ogni limitazione al diritto di prelazione si porrebbe infatti in contrasto con la normativa agraria italiana, volta a favorire l’ampliamento delle aziende agricole per consentirne un adeguato sfruttamento e consentire ai contadini di godere di un tenore di vita adeguato al loro impegno, oltre a contrastare con la normativa europea che vieta restrizioni alla libertà di iniziativa economica e di concorrenza.
Va precisato in particolare che, se il terreno è staccato da un maso chiuso, l’acquirente lo dovrà aggregare al suo, se si tratta invece di un c.d. terreno “volante” (walzende Parzelle) potrà rimanere tale anche in capo al nuovo proprietario, senza necessaria incorporazione nel maso.
La prelazione agraria non opera invece, se il trasferimento avviene con negozi giuridici diversi dalla compravendita, come ad esempio la permuta, la donazione o il conferimento in società.
Va rilevato infine che con sentenza n. 405 di data 07.12.2006, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale delle norme provinciali che prevedono l’esclusione dal diritto di prelazione per trasferimenti d’immobili assoggettati al vincolo di bene culturale “nel caso di trasferimento della proprietà in seguito a successione aziendale entro il quarto grado di parentela facenti parte di un maso chiuso”. Sostiene infatti la Corte, che “le norme censurate, essendo non soltanto predisposte alla tutela dell’indivisibilità del maso, ma soprattutto finalizzate a mantenere la connessione con la compagine familiare, […] giustificano, in materia di masi chiusi, le deroghe alla disciplina generale senza violazione dell’art. 3 della Costituzione. […] Poiché entrambe le disposizioni impugnate sono dirette alla tutela del maso chiuso con riguardo alle peculiarità di siffatto bene, esse non contrastano neanche con l’art. 9 Cost. che attribuisce lo sviluppo della cultura e la tutela dei beni culturali e del paesaggio alla Repubblica in tutte le sue articolazioni e non soltanto allo Stato.”
Precisa infine la Corte che resta ferma l’obbligo della denuncia del trasferimento del maso nelle circostanze suindicate, considerando che la normativa non si esaurisce nel rendere possibile la prelazione stessa, ma ha la fondamentalmente la funzione di rendere nota la titolarità dei beni nei tempi e con le modalità stabilite all’organo cui spetta la loro salvaguardia.